Thread 4/8 Ieri ho raccontato dei molti tentativi per utilizzare D’Annunzio. Compresi quelli di coloro che stavano dall’altra parte. La caduta dalla finestra di D’annunzio renderà vani tutti quei tentativi. Anche quello del Patriarca di Venezia, il cardinale La Fontaine.


Per un incontro tra Don Sturzo e lo stesso Mussolini. Abbiamo detto che ci si mise pure lo stesso Presidente Facta. Lo fece attraverso il sottosegretario Aldo Rossini. L’intento era di far partecipare l’amico D’Annunzio a un grande raduno di combattenti.


Durante il quale il Vate avrebbe lanciato un appello agli italiani per «unire fuori di ogni estremismo i gruppi sensibili tanto alle rivendicazioni patriottiche dei combattenti quanto alla necessità del progresso sociale». Come detto la caduta rese vani tutti questi tentativi.


D’Annunzio rifiuterà ogni altro contatto. «Sono oppresso da troppa gente delle parti più diverse e più avverse». Intanto. In quel 13 agosto, a Milano, nella casa del Fascio in Via San Marco, si è riunito il comitato centrale del partito fascista. Mussolini non ha ancora deciso.


«Per diventare Stato noi abbiamo due mezzi: il mezzo legale delle elezioni e quello extralegale dell’insurrezione. Bisogna ponderare prima di prendere una decisione. Il momento è molto delicato. Nell’apparato militare fascista, Balbo, De Vecchi e De Bono saranno i comandanti».


Milano 16 ottobre 1922. La frase su quell’invito è chiara “Non mancare!”. Nella Casa del Fascio ci sono otto sedie intorno al tavolo. Una riunione ristretta. Fuori, lungo la sponda maleodorante del Naviglio, delle guardie regie commentano i risultati di calcio.


Sui giornali si parla ancora dei fatti di Grecia, dove un colpo di Stato ha costretto il re Costantino ad abdicare. Anche se la Camera è chiusa, i corridoi di Montecitorio sono pieni di gente. Si parla della crisi. E’ opinione comune che il Ministero Facta non può durare.


Nel prossimo governo forse è il caso di far entrare Mussolini e i suoi fascisti. Già, ma come? Una crisi extraparlamentare subito? O aspettiamo l’apertura della Camera a novembre? Facta è per la seconda ipotesi (magari sperando di portare a Roma anche D’Annunzio).


A Milano il prefetto senatore giolittiano Alfredo Lusignoli tiene le fila per un una trattativa sottobanco per un governo Giolitti-Mussolini. Nel mentre arriva la dichiarazione di un portavoce del Ministro dell’interno, il Senatore Taddei, uno dei più convinti antifascisti.


«Il Fascismo è una grande forza, ha il diritto alla rappresentanza in seno ai principali organi statali e parlamentari. Il fascismo non attacca e non combatte lo Stato da nemico. Il primo mezzo per calmare le “esuberanze” fasciste è quello di condurre i fascisti al potere».


Vi giuro, disse proprio così. Tutti gli attacchi squadristici, l’occupazione di Palazzo Marino e il resto, per lui, convinto antifascista, erano solo “esuberanze”. Cosa poteva mai andare storto? Volete sapere le ultime due “esuberanze fasciste” avvenute all’inizio del mese?


La prima era stata la pubblicazione sul Popolo d’Italia, 4 ottobre, del regolamento di disciplina per la Milizia armata. «Se in Italia ci fosse un governo degno di questo nome oggi stesso dovrebbe mandare qui i suoi agenti e carabinieri a scioglierci e a occupare le nostre sedi».


«Non è concepibile un’organizzazione armata con tanto di quadri e di regolamento in uno Stato che ha il suo esercito e la sua polizia. Soltanto che in Italia lo Stato non c’è. E’ inutile, dobbiamo andare al potere noi». Parole di Benito Mussolini. Esuberanze.


Come quella avvenuta a Bolzano e a Trento ai primi giorni di ottobre con l’occupazione dei palazzi pubblici. Il Popolo d’Italia uscì con titoli come: “Lo Stato fascista in azione”. “Lo Stato fascista si impone a Bolzano”. Esuberanze.


E così Mussolini capì che era giunto il momento. A Udine il 20 settembre aveva fatto l’ultimo decisivo passo. «E’ possibile rinnovare l’Italia non mettendo in gioco la monarchia? Sì. Noi lasceremo fuori dai giochi la monarchia. L’Italia ci vedrebbe con sospetto».


E così arriviamo al 16 ottobre 1922. Ore 15.00. I capi militari convocati alla Casa del fascio a Milano. Intorno al tavolo ci sono otto sedie, ma al momento ci sono solo cinque persone. Sono Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono (i tre comandanti della milizia).


Ci sono anche i generali in pensione Sante Ceccherini e Gustavo Fara. La medaglia d’oro Ulisse Igliori è in ritardo. Quando li vede, il generale De Bono vorrebbe andarsene. Non li ha mai sopportati. Ma arriva Mussolini con il segretario di partito Michele Bianchi.


Mussolini si siede e comunica ai presenti che devono essere pronti per una marcia su Roma. I presenti sono sbalorditi. De Vecchi è il primo a parlare: «Impossibile, senza un organismo che sia in grado di manovrare opportunamente le forze fasciste, il piano è destinato a fallire»


«La marcia su Roma o si fa subito o non si farà mai» replica Mussolini. «Voi sapete bene che Giolitti viene avanti piano piano e con lui al potere è meglio pensare ad altro. E poi Facta sta tramando per una riconciliazione tra D’Annunzio e Giolitti. Noi dobbiamo agire prima»


I militari sono dubbiosi. Solo Balbo e Bianchi spronano gli altri ad agire. La discussione è accesa, ma alla fine si arriva a un compromesso. La data precisa sarà fissata soltanto dopo la grande adunata di Napoli annunciata per il 24 ottobre.


Intanto si devono studiare tutti i particolari. Sede del comando militare sarà Perugia. Santa Marinella, Monterotondo, Tivoli e Foligno saranno le località di concentramento delle colonne. La marcia su Roma è decisa, manca solo la data. La Casa del Fascio si svuota.


Nello stesso momento, nemmeno troppo distante, in Via Monforte, alcune persone stanno entrando in prefettura. Hanno chiesto udienza al prefetto Lusignoli per comunicargli le loro gravissime preoccupazioni per quanto riguarda la situazione finanziaria e del Paese.


Lusignoli scriverà a Facta che la commissione degli industriali composta da Olivetti, Benni, Pirelli, Ponti e altri minori, sono andati da lui pregandolo di fargli presente il loro stato d’animo. Vogliono al governo uomini forti che risollevino la nazione dal marasma.


Lusignoli comunica anche che il giorno successivo è previsto un incontro tra gli industriali e rappresentanti dei fascisti. E’ Alberto Pirelli a raccontare. «Andammo da Mussolini al Popolo d’Italia in Via Lovanio a confermargli i gravissimi danni provocati all’economia nazionale»


«La causa? Lo stato di confusionismo anarchico in cui versava il Paese dopo la mutilazione della vittoria» Sarà Mussolini a tranquillizzarli. «L’obiettivo dell’imminente azione fascista è proprio il ripristino della disciplina, soprattutto nelle officine». A domani.


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