Thread 6/8 Ieri sera ho terminato il racconto dei giorni che precedettero “le ore calde” prima della marcia su Roma. Mussolini ha preparato il piano. Facta ha ignorato gli avvertimenti, e il Ministro della Guerra ha aumentato le truppe nella capitale. Procediamo ora per ora.


Mercoledì 25 ottobre. Napoli, ore 14. Mussolini ha lasciato Napoli per tornare a Milano. Ore 19. Nella stazione di Roma Mussolini incontra Raoul Vittorio Palermi, gran maestro della massoneria di Piazza del Gesù. Che gli garantisce il suo appoggio.


Gardone. D’Annunzio, a letto con la faringite, telegrafa a Roma. Rinuncia a partecipare alla cerimonia del 4 novembre. «Rinuncio a tutto» Roma, ore 17.30. Facta telegrafa al re. «Adunata fascista Napoli completamente terminata. Nota di calata a Roma definitivamente tramontata».


Giovedì 26 ottobre. Milano. Appena arrivato Mussolini si è recato al Popolo d’Italia. Sarà la sua casa in quelle giornate. Ed è qui che riceve la delegazione degli industriali. Roma, ore 12. Facta telegrafa al Re. «Informazioni improvvisamente giunte!»


«Indicano la possibilità di qualche tentativo fascista. Governo provvederà energicamente. Mussolini mi fece sapere ieri che sarebbe disposto entrare ministero anche con qualche rinunzia ai portafogli chiesti. Per non tagliare la via, gli ho detto che decideremo insieme»


Casa di Giolitti, pomeriggio. Giolitti, che domani compie ottant’anni, è al caffè a giocare a tarocchi. Al tavolo arriva l’ex Presidente del Consiglio Orlando per parlare con lui della situazione politica. Giolitti verso sera va a giocare a biliardo.


Depone la stecca solo quando arriva il prefetto di Milano senatore Lusignoli. Gli dice che Mussolini è disposto a entrare in un governo Giolitti, ma vuole quattro portafogli e cinque sottosegretariati. Giolitti risponde che è disposto ad accettare.


Roma. I deputati fascisti De Vecchi e Ciano si recano da Salandra e gli chiedono di informare il Re che occorrono le dimissioni del Governo, altrimenti inizierà la marcia. Salandra risponde che lo può fare solo attraverso il Presidente del Consiglio.


Roma, ore 15.30. Salandra si reca da Facta e gli consiglia le dimissioni. Dopo un colloquio di mezz’ora Facta risponde che più tardi ci sarà un Consiglio dei Ministri per esaminare la situazione. Personalmente ritiene ancora che le minacce dei fascisti siano un bluff.


Roma, ore 18. Riunione dei Ministri. Facta propone le dimissioni. Giulio Alessio, ministro della Giustizia, e Taddei si oppongono. «E’ pronto il telegramma convenzionale ai prefetti per l’arresto immediato dei capi fascisti». I ministri decidono di non dimettersi.


San Rossore, ore 19.30. Il Re risponde a Facta. «Mi sembra che non convenga abbandonare il contatto con Mussolini, la cui proposta può costituire un’opportuna soluzione alle presenti difficoltà, poiché il solo mezzo è quello di accostare il fascismo al governo per vie legali».


Roma. Il Comandante della divisione di Roma, Generale Pugliese assicura il ministro Soleri che «reparti risponderanno, in qualsiasi eventualità per quanto dolorosa, agli ordini del governo». Roma, ore 24. Balbo e De Bono partono per Perugia dove è fissato il quartier generale.


Venerdì 27 ottobre. Roma, ore 0.10. Facta invia un telegramma al re invitandolo a tornare a Roma. Roma, ore 1. Telefonata tra il quadrumviro Bianchi e Mussolini. Mussolini lo informa che il Prefetto Lusignoli è andato da Giolitti per strappargli 4 portafogli e 4 sottoportafogli.


Bianchi lo invita a dire comunque di no. L’ora è giunta. Ma Mussolini gli dice di aspettare. Si risentiranno. Roma, ore 9. Bianchi scrive all’altro quadrumviro De Vecchi. «Solo all’una di stanotte ho potuto scambiare telefonicamente qualche parola con Mussolini».


«Si può riassumere così. Nulla da mutare a quanto deciso. Io parto tra qualche ora per Perugia. Ormai non si può più arretrare» Roma, ore 10. Il Generale Pugliese tiene un discorso ai suoi comandanti. Dice loro che l’esercito è stato e sarà sempre la vera forza del Paese.


Casa di Giolitti. Ore 10. Giolitti riceve una pergamena per i suoi ottant’anni. Le vie sono imbandierate. Gli amici gli regalano, vista la sua passione, una «stecca d’onore». Le luminarie, allestite con una sottoscrizione pubblica disegneranno la scritta «Viva Giolitti»


San Rossore. Ore 10.05. Il telegramma di Facta è arrivato. Essendo molto lungo ci è voluto del tempo per la decrittazione. Vittorio Emanuele, in attesa, è uscito a caccia. Senza sparare un colpo. Al ritorno risponde a Facta: «Parto col primo treno e sarò a Roma alle ore 20».


Pisa ore 12.00. Per un errore, in anticipo su quanto concordato all’Hotel Du Vesuve a Napoli, i fascisti iniziano a muoversi. Vengono interrotte le linee telefoniche e requisite le autovetture. Vengono distribuiti manifestini. «Marceremo su Roma per dare all’Italia la libertà»


Roma. Nel pomeriggio la medaglia d’oro Raffaele Paolucci, comandante delle camicie azzurre nazionaliste, fa confluire a Roma reparti di cavalleria per difendere il Quirinale. Al grido di: «Sempre pronti per la Patria e per il Paese».


Roma. De Vecchi incarica Preziosi di dire al governo, tramite l’On. Riccio, che la rivoluzione è in atto e che il quadrumvirato è già un funzione. «Se il governo ha qualcosa da dire lo può fare fino a mezzanotte. Dopo anch’io raggiungerò Perugia».


Roma ore 16.50. Inizia il Consiglio dei Ministri che si conclude alle 19.30 con le dimissioni del gabinetto e con l’incarico al Presidente Facta di recarsi alla stazione per comunicare la notizia al re in persona. Che sta arrivando.


Roma, ore 17.00. Riunione delle autorità romane. Si è provveduto alla dislocazione di cavalli di frisia, autoblinde e truppe nei punti strategici. Il Generale Pugliese conferma la lealtà al governo, ma vuole un ordine scritto. Il ministro Taddei gli fa avere l’ordine scritto.


«Nella eventualità che treni di fascisti tentino di raggiungere la capitale, cotesto comando è incaricato di arrestarli presso le stazioni di Civitavecchia, Orte, Sezze, Viterbo e Avezzano, ricorrendo anche alla interruzione delle linee ferroviarie. Previsto l’uso delle armi».


Cremona, ore 18.30. Lo spegnimento delle luci cittadine è il segnale convenuto. Centocinquanta fascisti assediano prima la prefettura e poi la questura. L’esercito spara.


Milano, ore 19.00. Per Mussolini, al Popolo d’Italia, è venuto il momento di pubblicare il proclama che ha scritto da tempo. Appone poche modifiche. Poi esce e va a teatro, in un palco del Manzoni, dove la compagnia Bretone dà “Il cigno” di Molnár. Poi torna a casa. A domani.


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